“I vostri ardenti desideri ci sembrano delle mani invisibili, con le quali bussate ad una porta invisibile perché invisibilmente vi si apra e invisibilmente possiate entrare” (S. Agostino, Comm. Sal. 103). Sono state queste “mani” a cercare per me la mia felicità. Mi chiamo sr. Francesca, sono una monaca agostiniana di voti temporanei e vivo nella comunità dei Santi Quattro Coronati a Roma.
La più bella scoperta che ho fatto nel mio cammino è che Dio ha sempre avuto a cuore i miei desideri, con pazienza e con amore mi ha aiutata a riconoscerli e a prendermene la responsabilità: alla base della mia scelta, infatti, c’è un desiderio di vita piena e felice che all’inizio non riuscivo ad identificare.
Eppure… non ero infelice! Sono cresciuta in una famiglia bella ed unita, ho una sorella ed un fratello, mi sono laureata, ho lavorato, ho studiato pianoforte; mi è sempre piaciuto viaggiare, leggere, conoscere cose nuove; da quando, all’età di 18 anni, mi sono trasferita da Napoli ad Albano Laziale, mi sono anche inserita in parrocchia ed in Azione Cattolica: tanti amici, belle relazioni, molte soddisfazioni insieme a qualche delusione. Insomma, la mia era una vita bella… normale! Ma non mi bastava. C’era il pensiero costante che mancasse qualcosa, quel qualcosa che potesse rendermi veramente felice. Questa inquietudine che avevo dentro mi spinse a chiedere aiuto a un sacerdote, che cominciò ad accompagnarmi invitandomi innanzitutto a pregare.
È stato un periodo molto intenso, forse il più bello, nel mio cammino di discernimento. Quel Dio, che per me era quasi uno sconosciuto perché ci si incontrava solo la domenica a Messa, si rendeva presente nella mia vita attraverso la Parola che la liturgia mi offriva ogni giorno. Devo riconoscere che all’inizio è stato faticoso: per me era un’esperienza nuova e non era facile trovare nelle mie giornate così indaffarate un po’ di tempo per fermarmi sulla Parola di Dio. E tuttavia il Signore mi veniva incontro con pazienza, dando risposta, attraverso le Scritture, alle mie inquietudini, ai miei dubbi, ai problemi concreti che mi trovavo davanti: mi stava aiutando a conoscermi e ad amare non solo Lui, ma anche me stessa e la mia vita. Rimanevo ogni volta sorpresa nello scoprire che Dio vuole avere a che fare con noi uomini, se glielo permettiamo! E mi colpiva tantissimo che ci fosse sempre una Parola che provvidenzialmente rispondeva a ciò che vivevo: Dio entrava nel mio quotidiano. E più gli davo spazio, più cresceva il desiderio di stare con Lui: mi era ormai chiaro, infatti, che era la sua presenza, e non ciò che facevo, a dare un senso alle mie giornate, a renderle interessanti, belle o faticose che fossero. Davanti a questa relazione tutto passava in secondo piano. Insomma… quel desiderio di pienezza che sentivo e che non mi dava pace trovava appagamento proprio nella preghiera.
A questo punto mi è sembrato quasi naturale pensare alla vita contemplativa. In realtà io non ho scelto la clausura in sé, anzi, mi spaventava l’idea di un taglio così radicale… né me ne credevo capace! Io ho solo scelto di stare con il Signore. La clausura ne è, diciamo, la conseguenza ed il presupposto: quella che può sembrare una limitazione in realtà è come il solco profondo in cui il seme, custodito, ha la possibilità di germogliare e diventare fecondo. La clausura custodisce la mia appartenenza al Signore; dice che, prima di tutto, nella mia vita c’è Lui e la mia relazione con Lui. È in questa relazione che nasce il legame con il mondo: in Dio amiamo ogni uomo perché Lui lo ama e intercediamo attraverso la fedeltà a ciò che la vita ci chiede… è la comunione dei santi! Quando, nella fatica della ricerca, ho conosciuto le Monache Agostiniane, ho scoperto che nella loro vita trovavano risposta altri due miei desideri.
Il primo era potermi spendere per la Chiesa. Avevo imparato a conoscerla in AC, lì è maturato il senso della responsabilità e dell’impegno, lì ho capito che la Chiesa siamo noi e che a noi è chiesto di farla crescere.
Questa vita me lo permette in tanti modi: il primo è quello suo proprio, la preghiera. Alla vita contemplativa è affidato il compito di essere voce orante della Chiesa e, nella Chiesa e con la Chiesa, di pregare non solo per chi ce lo chiede, ma anche per chi non può, non vuole o non sa pregare; di portare il mondo a Dio, ma anche Dio al mondo. A questo se ne aggiungono altri, non meno importanti: condividere la liturgia con quanti vengono a pregare con noi, accogliere i gruppi che chiedono testimonianze, stare vicine a quanti chiedono ascolto o un aiuto materiale. Il secondo desiderio era poter condividere il mio cammino con altre persone in una dimensione comunitaria forte. E anche in questo sono stata “accontentata”: per S. Agostino la comunione era fondamentale. Tutta la nostra vita è stare insieme nella comune ricerca di Dio: nella preghiera, nel lavoro, nello studio, nella vita fraterna. Costa fatica… ma è bello, stimolante, dà sapore alla vita e la arricchisce.
Amore per Dio e per la Chiesa, in un contesto relazionale forte, attraverso una ricerca vera: questa è stata la vita di S. Agostino. E questo era quello che cercavo.
“Signore, davanti a Te ogni mio desiderio” (Sal. 37) è la frase che ho scelto per il giorno della mia professione dei voti di povertà, castità ed obbedienza. E, in fondo, è la “sintesi” della mia vita con Dio.
Il senso della vita contemplativa è tutto qui: non è rifiuto o paura del mondo, ma amore per Dio. E con il tempo sto imparando che è apertura sul mondo: dà un respiro ampio sull’umanità, che entra a far parte di me perché “di carne” come me; per quest’umanità dono la mia preghiera, il mio tempo, le mie fatiche e le mie gioie… la mia vita, insomma, portando, nel mio essere donna, ogni uomo davanti al Signore.