Se volessi riassumere il racconto della mia vocazione sacerdotale, avrei una sola parola con cui rappresentarla: SOGNO. Da poco tempo ho celebrato il mio 25° anniversario di sacerdozio, e in quell’occasione ho avuto modo di guardare indietro a tutti gli anni trascorsi in parrocchia. Definirla una esperienza straordinariamente bella è riduttivo, ecco perché penso che la parola “SOGNO” la descriva in pienezza.
Ma non intendo dire che ho “realizzato” il “mio” sogno. Sono convinto, invece, che Dio abbia voluto realizzare il “suo” sogno su di me, e continui ancora a farlo. Quando ho percepito ciò che il Signore voleva per la mia vita, ho cominciato il mio discernimento, non certamente da solo, ma facendomi aiutare da una guida spirituale e dalla preghiera.
A poco a poco la mia gioia cresceva, ma anche i timori perché mi trovavo davanti ad una cosa più grande di me. I sogni di Dio sono come una cascata d’acqua dirompente che bisogna incanalare perchè tutta la sua potenza e bellezza possano essere utilizzate e godute. A poco a poco, durante gli anni di seminario ho cominciato ad assaporare quel progetto di Dio, a farlo mio, e nella mia mente cresceva la gioia di voler lavorare con passione alla sua Opera.
Cominciavo ad immaginare la vita parrocchiale, l’annuncio del vangelo, l’incontro con la gente, l’animazione coi bambini, la celebrazione della Messa, la pastorale con i giovani, e tutto ciò mi dava una gioia immensa. Ancora oggi provo quella stessa gioia a 26 anni di distanza dal giorno della mia ordinazione; una gioia alimentata quotidianamente dalla preghiera a cui, in modo particolare, il seminario mi ha educato. Attraverso di essa ho potuto comprendere che quei sogni di Dio erano per me. Certamente la strada percorsa non è stata una passeggiata, ma un’impresa faticosa. Mi sono sempre sentito come un atleta che per conquistare il primo posto si allena ogni giorno per la gioia di quel traguardo. Ho sempre immaginato quando ero in seminario la mia vita di “pastore” e devo dire che in questo non sono rimasto deluso, anzi la mia gioia si è accresciuta ogni giorno di più; è maturata, questo è vero, negli anni, è diventata adulta, ma grazie a Dio si è mantenuta.
Ricordo ancora il motivo fondamentale del mio desiderio di diventare sacerdote contenuto nella domanda di “Ammissione agli Ordini” che feci in Seminario poco dopo il mio ingresso: la frase del Vangelo che ho voluto che facesse da sfondo alla mia vocazione è stata: “Vi ho detto queste cose perche la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena!”. (Gv 15,11). Sono sempre stato colpito da quell’aggettivo con cui Gesù ha voluto caratterizzare la gioia: “mia”. La gioia del discepolo è la gioia di Gesù, è la gioia del discepolo che diventa maestro e condivide con il “Maestro” per eccellenza la bellezza di un popolo in cammino che gli viene affidato esattamente come un padre o una madre sperimentano la bellezza di un figlio che cresce e matura giorno per giorno.
Mi auguro di conservare sempre l’entusiasmo del primo giorno e di non smettere mai di sognare, e di sognare in grande, sicuro che il Signore non mi lascia solo; mi guiderà, mi porterà ogni tanto “in disparte” perché io stia con lui e riprenda fiato; continuerà ad insegnarmi a rendere lode al Padre Celeste per la fede delle persone che mi ha affidato e che incontro nel mio ministero, mi affiderà a sua Madre perché mi custodisca come gli ha chiesto suo Figlio nel momento più alto del suo mistero sacerdotale: la Croce!
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