Don Carlo è arrivato!

Quando un amico parte per il Paradiso è naturale ripensare alla strada che ha fatto e trattandosi di un prete, della strada fatta con Dio. Molta di quella strada l’abbiamo fatta insieme. Erano ancora i tempi in cui c’erano i seminari minori e quello della nostra diocesi era a Strada in Casentino, “il seminarino di Strada”. Da tutta la diocesi arrivavano una trentina di ragazzi della scuola media che frequentavano al vicino istituto salesiano.

Due seminaristi di Fiesole per un anno facevano da prefetti e io ero a Strada proprio quando insieme ad altri di Pratovecchio arrivò anche Carlo, accompagnato dalla mamma Corinna, una donna energica famosa perchè guidava il camion, cosa non comune a quei tempi. Carlo era un ragazzino vivacissimo e dopo la novità dei primi giorni, quando la mamma venne a trovarlo gli disse che voleva tornare a casa e si mise a piangere. Corinna lo rimproverò ricordandogli che glielo aveva detto ma che lui non si dava pace perché voleva andare in seminario come i suoi amici.

All’insistenza del figlio che continuava a piangere la mamma gli rifilò due ceffoni e se ne andò. Io, prefetto, che assistevo alla scena, verificai che gli era tornata la vocazione e Carlo riprese a fare il seminarista. Ogni volta che ci vedevamo non potevamo non ricordare i ceffoni di mamma Corinna che, ovviamente ai nostri tempi non sono più da considerare un sistema di pastorale vocazionale, ma che a quei tempi funzionarono, giunto alla fine della vita, verificando che bravo prete è stato don Carlo.

Siamo stati insieme qualche anno a Fiesole poi, anche se non più fisicamente vicini siamo rimasti uniti da sincera amicizia: era il mio referente in Casentino, dove non mancavo di portare alunni e amici ad ammirare le bellezze  della sua terra.

Era rimasto semplice come il ragazzino che ricevetti a Strada e anche con la stessa vivacità.  Non si è mai spostato dal suo Casentino che ha amato profondamente e portava in se le caratteristiche di quella terra dolce e forte punteggiata di Castelli e chiese, tutto sotto lo sguardo di Francesco e di Romualdo che da La Verna e da Camaldoli continuano a rendere sacri quei luoghi.

Gli è stato difficile accettare la malattia che lo ha colpito che riduceva le sue forze ma non il desiderio di farsi sempre tutto a tutti. Quando arrivarono i fatidici settantacinque anni non riuscì a scrivere le sue dimissioni e lo consolai dicendogli che non era assolutamente obbligatorio se si sentiva ancora nella possibilità di servire. Le mie parole lo tranquillizzarono anche se si accorgeva che le forze non erano più quelle di prima.

Credo che il vescovo si sia accorto della sua difficoltà a lasciare la parrocchia e lo ha lasciato fino alla fine nel suo ruolo. Avevo capito che voleva morire parroco di Stia e il Signore gli ha concesso di morire in servizio, nella sua casa, nella sua parrocchia, nella sua Chiesa. Il Signore, nel suo amore non trascura neppure i particolari.

Non riesco a togliermi di testa la scena della Corinna e dei due ceffoni e mi immagino che probabilmente si ripeterà in Paradiso dove sicuramente starà bene ma che tornerebbe volentieri anche a Stia. Lassù, insieme alla Corinna anche Maria che lo convincerà a continuare a fare il parroco anche dal Paradiso, anzi, a farlo meglio, perché più vocino al Datore di ogni bene.

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