La situazione di pandemia ha messo in luce anche il rapporto tra tra stato e religione. Vorrei precisare a scanso di equivoci, non stato e chiesa Cattolica ma religione, quindi tutte le religioni.
La reazione di tanti credenti nei confronti delle scelte dello stato di proibire tutte le celebrazioni pubbliche è stata ed è negativa.
La proibizione di celebrare l’Eucarestia feriale , quindi con un numero limitato di persone in una grande chiesa in cui possono essere garantite le distanze è senza senso. Lo stesso si dica la domenica, dove la presenza non è certamente da stadio. Le varie comunità religiose potevano benissimo garantire gli spazi richiesti. Perché questa imposizione? La tentazione del potere dell’uso della forza pubblica è sempre la tentazione di chi è al “potere” sarebbe meglio dire al servizio della comunità.
“Il potere” deve garantire il rispetto di tutte le dimensioni delle persona umana. La dimensione fisica(la salute), la dimensione culturale ( la scuola e la cultura), la dimensione sociale ( il lavoro, la famiglia e le varie aggregazioni ) e non ultima la dimensione religiosa (garantendo la libertà di culto). Nelle deviazioni totalitarie lo stato ha cercato sempre di impossessarsi di tutte queste dimensioni delle quali, sicuramente la più difficile ad addomesticare è quella religiosa che ha a che fare con la coscienza e la fede delle persone. Eppure anche Napoleone, che Dio lo perdoni , lo aveva capito quando disse che un popolo senza religione non si governa neppure con i fucili. La Chiesa ha sempre accettato il “libera chiesa in libero stato” ma anche lo stato che si professa laicista non resiste alla tentazione di proibire alle donne musulmane di abbigliarsi come credono.
Uno stato non si governa con le pure leggi ma con le idee che guidano e orientano le leggi. Le leggi senza idee sono pericolose.
Lo stato non può considerare le religioni come una pure espressione sociali che fanno , magari , del folclore, di un popolo.
Le grandi famiglie religiose e le correnti spirituali che ci hanno preceduto in questo mondo e che durano ancora, sono molto più ricche di quanto la nostra epoca possa accorgersi. Esse sono le custodi delle questioni essenziali che non osiamo più porsi per non rischiare di manifestare la nostra ignoranza. Nell’ epoca delle scoperte trionfanti come ammettere che “ delle scoperte aumentano la conoscenza della nostra non conoscenza”?
Con umiltà il potere politico deve riconoscere che dinanzi alla varietà delle minacce ecologiche, tecnologiche ed economiche, finirà per ritornare al problema centrale, l’enigma antropologico, chi veramente siamo? Come decidere delle politiche sociali, economiche se non ci si pone più la questione della natura dell’uomo? È a partire da questo problema che sono nate le varie famiglie religiose. Non si potrà mai superare il separatismo, il comunitarismo o tutto quello che si vuol chiamare secessione senza riunire le persone intorno all’invariante antropologica: da dove veniamo, dove andiamo e che cosa ci siamo venuti a fare.
Noi viviamo le nostre società come se l’enigma della vita stessa non fosse una domanda da risolvere, come se considerare ogni persona come mistero non fosse più la radice dell’umanesimo che vogliamo far rinascere. Bisogna augurarci che il potere politico cominci a pensare per scegliere la strada da percorrere.
Se una religione non è onorata per quello che è diventa soltanto carburante di un comunitarismo mentre invece una società troverò L’Unità del suo corpo sociale non soltanto per delle scelte giuridiche e tecniche ma per la sua capacità di riconoscere l’uguale dignità di tutti gli uomini e di chiamare ciascuno a dare una risposta al problema: chi siamo veramente se non siamo gli uni per gli altri?
+ Mons. Giuseppe Mani