I divorziati risposati sono stati la prima categoria di persone di cui Papa Francesco si è interessato all’inizio del suo pontificato: ha indetto un sinodo, ha voluto sentire il parere di tutti i fedeli attraverso un’inchiesta generale alla chiesa, cosa assolutamente nuova, ed ha tenuto in due tempi il sinodo, che è la forma di partecipazione al governo della chiesa di tutti i vescovi per rappresentanza.
Prima del Sinodo i divorziati risposati hanno avuto una storia difficile. Erano considerati scomunicati, anche se non lo sono mai stati, considerati concubini e anche se non sono stati messi fuori dalla Chiesa sono stati però estromessi dall’esercizio di diverse funzioni: fare i padrini al battesimo e alla Cresima, leggere pubblicamente in chiesa, fare l’insegnante di religione ecc. In una parola erano persone che “dopo aver divorziato si erano risposati in comune mettendosi fuori dalla legge della chiesa”.
Erano così? Certamente era una dimensione della loro condizione. Col Sinodo è cambiata ermeneutica, cioè il modo di vederli: un po quello che avvenne per gli ebrei al Concilio Vaticano II. Prima erano “i perfidi Giudei”, al Concilio sono diventati “i nostri fratelli maggiori”. Cose che avvengono. Così “i divorziati risposati” sono diventati “una coppia di persone che, dopo una prima esperienza matrimoniale non riuscita si sono separati ed avendo incontrato una nuova persona con cui farsi una famiglia si sono sposati in Comune, sono fedeli, hanno fatto dei figli che hanno battezzato ed educano cristianamente, la loro situazione è irreversibile perché i figli hanno il diritto di avere dei genitori, chiedono alla chiesa la partecipazione ai sacramenti per potere ricevere la grazia necessaria per vivere bene la nuova situazione. La mentalità e l’approccio della chiesa è veramente cambiato ma cosa hanno deciso i vescovi col Papa: possono fare la Comunione si o no?
E’ facile capire che ogni situazione è diversa e ciascuna va trattata singolarmente. Papa Francesco direbbe: “Fratelli, le idee si discutono, le situazioni si discernono”. E allora cominciamo il discernimento. ”E’ fondamentale sapere come gli sposi giudicano la loro situazione: come giudicano il precedente matrimonio e come vedono il nuovo, in una parola è la coscienza degli sposi che deve dire se pensano che la nuova situazione sia accettata dal Signore o no. Leggere la coscienza non è facile anche perché le persone “coscienziose” hanno sempre il sano timore di sbagliare, senza dimenticare che il timore è un dono dello Spirto Santo. La chiesa qui interviene con l’aiuto di un sacerdote che non è “padrone della coscienza” ma aiuto a discernere e, magari, aiutare a verificarne la rettitudine. Se in coscienza ritengono di potersi accostare ai sacramenti possono farlo.
Alcuni dicono che così viene negata l’indissolubilità del matrimonio. Assolutamente no. La morale di Gesù Cristo ha dei principi sommi e indiscutibili che sono “la Parola di Dio”e la legge naturale interpretate dal magistero della chiesa, la “lex summa” direbbe sant’Alfonso. Tra questi c’è il matrimonio unico e indissolubile. C’è anche il modo immediato attraverso cui Dio guida l’agire dei cristiani che è la Coscienza dei singoli la “lex proxima”. La coscienza retta è la guida della personale responsabilità. Quando arriveremo al giudizio di Dio non ci verrà fatto l’esame della morale cattolica ma l’esame della coscienza.
Allora i divorziati risposati posso accostarsi ai sacramenti si o no? Se in coscienza retta , magari verificata con un fratello sacerdote, si sentono sereni dinanzi a Dio possono ricevere la Comunione. Spero di essere stato chiaro anche se necessariamente sintetico per questo rimando alla lettura almeno dell’ottavo capitolo dell’esortazione di Papa Francesco “Amoris laetitia” oltre che restare personalmente a disposizione per le domande che desiderate inviarmi.