XI Stazione: Gesù inchiodato sulla Croce

Sembra perfino impossibile immaginare che degli uomini siano capaci di tanta crudeltà: inchiodare una persona su una croce e lasciarla morire così. E’ talmente possibile e vero che il Signore ha voluto fare della Croce, strumento di supplizio, il simbolo della nostra fede e dell’appartenenza a Lui.

Nella vita, dopo essere spogliati delle vesti, la croce aspetta anche noi: potrà in un ospedale o in una casa di riposo dove, ormai impossibilitati a muoverci per qualche infermità, siamo inchiodati in un letto, dipendenti in tutto dagli altri, non solo per mangiare, ma anche per respirare. L’esperienza delle camere di rianimazione, dove i nostri fratelli malati del Coronavirus sono vissuti e vivono giorno e notte, dipendenti dal casco dell’ossigeno, ricorda l’esperienza della crocifissione: inchiodati sulla Croce.

Gesù ci ha insegnato come vivere quei terribili momenti, se dovessimo farne l’esperienza: pregando, implorando e donando fino alla fine perdono e amore.

Il salmista anticipa nella sua preghiera l’esperienza di Cristo: “Hanno forato le mie mani e i miei piedi: posso contare tutte le mie ossa” (Sal 22, 17-18) e Isaia lo aveva previsto: “Egli è stato trafitto per le nostre prevaricazioni, è colpito per i nostri peccati: il castigo che ci avrebbe portato la salute è ricaduto su di Lui e nelle sue piaghe siamo stati guariti” (Isaia 53).

Gesù è caduto nelle mani degli uomini che son capaci di questo e di peggio. Pensiamo allora ai numerosi uomini che lungo i secoli e oggi soffrono per la loro fede e a tutti quelli che soffrono per la giustizia. Sono i crocifissi di sempre che con Cristo salvano il mondo, condannando con la loro vita ogni forma di sopraffazione e di violenza.

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