Ce l’abbiamo fatta - e speriamo che non siano le “ultime parole famose”! - a non essere le vittime del coronavirus. Almeno materialmente parlando, perché socialmente e psicologicamente siamo ammalati tutti. Non parlo poi di noi candidati al “coronagloriae”, in quanto vecchietti, perché la cosa prende davvero del pittoresco.
Siamo arrivati alla fine? Pare di si. Ormai sono 40 interi giorni che vivo nell’inattività e di questi 4 settimane in Ospedale. E’ innegabile che mi sono chiesto più volte se il Signore non potesse utilizzarmi meglio che tenermi nell’inattività e nella dipendenza assoluta dagli altri.
La Quaresima prosegue velocemente. Stiamo superando la metà, rallegrati dalla festa di San Giuseppe e dell’Annunciazione del Signore e anche il nemico che mi ha costretto all’Ospedale per 20 giorni ha dato il suo nome.
La Quaresima si evolve. Si penetra sempre più nel deserto dove il Signore riserva delle novità non smentendo che camminiamo verso la Pasqua. Quando l’altra settimana entrai nel deserto la diagnosi era di una infezione nel sangue e nel cuore.
Stavo preparando la mia ottantasettesima Quaresima, non escludendo che potesse essere l’ultima, e mi stavo preparando all’operazione delle cateratte quando una febbriciattola mi ha bloccato a letto per una settimana.
L’anno liturgico comincia col tempo dell’Avvento, l’attesa però è il sentimento che pervade tutto l’anno. L’Avvento è l’attesa di Cristo, poi quello della Sua manifestazione con l’Epifania, segue la quaresima in vista della Pasqua, poi l’attesa dello Spirito Santo. Il resto dell’anno è attesa della Sua venuta nella Gloria.