Ce l’abbiamo fatta - e speriamo che non siano le “ultime parole famose”! - a non essere le vittime del coronavirus. Almeno materialmente parlando, perché socialmente e psicologicamente siamo ammalati tutti. Non parlo poi di noi candidati al “coronagloriae”, in quanto vecchietti, perché la cosa prende davvero del pittoresco.
Suscita un certo stupore la lettura dei giornali in cui si parla bene della chiesa e dei suoi vescovi. Eravamo abituati ad altri toni. Però sentir parlar bene di un amico fa sempre piacere e don Matteo è un amico anche se ci siamo frequentati poco.
Domenica 15 maggio la chiesa dichiarerà santi dieci nostri fratelli, cioè sono vissuti secondo il vangelo, anzi la loro vita è diventata vangelo per cui possono essere imitati con la certezza di fare quello che faceva Gesù.
Anche gli angeli custodi vanno in pensione, sono richiamati a casa forse per prender fiato e ricominciare un nuovo servizio. Ho pensato a questo il 27 marzo, quando mi è stata comunicato il ritorno in cielo di Suor Angela dopo novantacinque anni di vita e settantadue di servizio.
Il venticinque marzo segna la “pienezza dei tempi”, è l’inizio della fine dell’attesa della salvezza: tutto quello che era avvenuto fino a quel momento era semplicemente un anticipo, un segno di quello che doveva avvenire: la venuta di Dio stesso a salvare l’uomo.
I Santi servono, sono i nostri fratelli che hanno raggiunto la Patria e, comprendendo le nostre necessità, possono darci una mano per tirare avanti tra le difficolta della vita. I santi si pregano per questo. Giuseppe di Nazareth , come responsabile della famiglia di Gesù ne ha viste delle belle, è passato in mezzo a difficoltà, si è impegnato, ha sofferto ed è in grado di capirci. Era colui che risolveva i problemi della famiglia oltre che procurare il pane quotidiano. Per questo la chiesa si rivolge a Lui nei momenti di difficoltà e, giustamente Leone XIII lo dichiarò patrono della Chiesa universale, la famiglia, un po' allargata, di Gesù.